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Festival del Cinema Europeo
Lecce, 2-9 giugno 2001
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Intervista a Vittorio Storaro

Carlos Saura e Vittorio StoraroAbbiamo assistito in albergo, mentre parlavamo con il regista Saura, al suo incontro con lui oggi pomeriggio, vogliamo parlare del vostro primo incontro, su cosa vi siete subito trovati d’accordo?

Innanzi tutto è fondamentale capire che chi fa cinematografia come me, non può fare doverosamente tutte le storie e non può lavorare con tutti i registi. Esiste un magnetismo da una parte creativo e dall’altra umano che ci lega con le persone, che ci collega con persone creative e con maestri, con personaggi spirituali. Se penso alla mia filmografia non ho collaborato con molti registi e forse, stringendo stringendo, con pochissimi. Non è solo stima personale ma umana. Fare un film non è esprimersi è vivere. Niente si esprime, si vive insieme. Ci siamo incontrati io e Carlos con Flamenco, ma personalmente ci siamo conosciuti in Giappone dove io ero il giurato di un festival e lui era lì a presentare un suo film, e c’è stato subito un incontro sia creativo che umano. Io ho avuto vari incontri altamente creativi con vari personaggi che però non mi hanno dato nessuna emozione e con i quali ho preferito pian piano allontanarmi e poi staccarmi. La cosa che ci coinvolge sulla sua opera è il mistero, il non sapere dove si può arrivare con la creatività ed il cinema. Fare un’opera è un viaggio, allorquando è finito sei sempre una persona diversa.

Parlando di altre relazioni professionali che lei ha avuto con Bertolucci, Coppola, Beatty, lei ha notato qualcosa di diverso nel modo in cui si lavora con l’uno piuttosto che con l’altro?

Sostanzialmente no, perché poi quando la persona è vera, è giusta, i rapporti diventano simili sul piano strettamente creativo: io nell’orchestra cinematografica sono uno strumento della luce, io scrivo con la luce la storia di un film. Francis Coppola, Warren Beatty, Bertolucci dirigono l’orchestra sono cioè gli autori fondamentali, i padri spirituali dell’opera, ci guidano e chi come me, chi si occupa di scrittura, di scenografia, di montaggio è condotto in una stessa direzione. Poi ci sono chiaramente le intuizioni prettamente umane o di linguaggio. Con Bertolucci ho raggiunto uno dei più grandi livelli di scavo all’interno di quello che è davanti a noi e lui utilizza sempre la parte inconscia dell’essere ed io ho ancora questo senso dell’uso dell’ombra rispetto alla luce. Con Coppola è un rapporto molto più legato all’emozione visiva dei colori
Con Warren Beatty ho trovato due grandi elementi opposti: raziocinio e grande emotività.
In Carlos Saura è un po’ la scoperta di un mondo visivo emotivamente nuovo legata un po’ all’ispirazione che abbiamo con questa grande musa che è il cinema e che mi ha fatto aprire una porta nuova. Ho scoperto credo una sensazione completamente diversa tra lo spazio e lo schermo.
Sono quindi matrimoni diversi che portano però tutti verso la stessa meta: l’illuminazione

a cura di Ofelia Nunzi e Mario Bucci