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Chinese Box Anno: 1997 Regista: Wayne Wang; Autore Recensione: Adriano Boano Provenienza: Francia; Giappone; USA; Data inserimento nel database: 19-01-1998
L'unicità di Hong Kong sorge magicamente anche e
soprattutto dagli interni sbrecciati e angusti, dalle
botteghe artigianali stipate di ogni attrezzo e in quelle
alimentari dai dettagli di frattaglie ancora pulsanti
(sintesi dello stato in cui versa la metropoli impegnata nel
passaggio alla Cina Popolare e della salute di
Johnny/Irons), dalle espressioni delle miriadi di individui,
volti a formare un melting pot irripetibile, persone
incrociate sui caratteristici tram o sulle sopraelevate
dell'isola, o sui pontili in attesa del traghetto per la
penisola; Kowloon e i Nuovi Territori si mischiano dall'alto
della cartolina dal Peak Victoria per tuffarsi nei viottoli
popolati dai colori dei mercati o sul luminoso volto di
Maggie Cheung, che dona luce alla guancia ripresa di profilo
di Jeremy Irons, stagliandosi con i cromatismi cinesi sul
muro per ottenere una macchia di colori, dalla quale, come
per un'anamorfosi, emergono una faccia europea, segnata dal
tempo ed esangue per la malattia, sulla quale si proietta il
viso dell'Oriente a metà bellissimo, ma deturpato da
un lato (quello della contaminazione con l'Occidente, che
l'ha sedotta e abbandonata, novella Susie Wong?). Ecco:
l'intero repertorio di luoghi deputati a rievocare
l'immagine stereotipata hongkonghese sono presenti, ma
ritratti non alla maniera di un reportage televisivo o della
superficialità del turista, ma come se ogni
sensazione scaturisse da una immagine precedente che la
racchiude disvelandola, allo stesso modo in cui si aprono la
serie di lacche cinesi, lasciandone scaturire la linfa del
film.
Ed è una vera sorpresa pirotecnica di immagini e
colori che duplicano le fotografie scattate dal reporter
insoddisfatto, perché Hong Kong restituisce proprio
questa sensazione di inadeguatezza a chiunque tenti di
raccontare l'effervescente piacere che realmente si prova al
contatto con quella città: un misto di languido
abbandono alle dolci curve di Gong Li, sottotono senza
Yimou, e di frenetico movimento con la sinuosa Jin (la
lunare Maggie Cheung dall'espressione sbarazzina e
clownesca come in Chungching Express di Wong
Kar Wai, ma con quanto spessore popolare in più nelle
riprese durante le quali è inseguita dal reporter
inglese per le stradine stipate di indaffarati cinesi!).
É contemporaneamente un esternazione di angoscia
per il futuro di questa scheggia di Cina impazzita e
speriamo non ridotta alla normalizzazione dal passaggio
traumaticamente descritto dal suicidio del giovane, in
diretta dal 1/1/97. Infatti la pellicola si dipana tra il
capodanno e i giorni immediatamente successivi all'arrivo
dei carri armati cinesi, però almeno tre storie
scorrono parallele, o forse si intrecciano tra loro, o
meglio ancora, scaturendo all'infinito l'una dall'altra, si
rincorrono per confluire nel medesimo rimpianto angoscioso
del 1 luglio (di nuovo una scadenza incombente come la
lattina di ananas Del Monte per Wong Kar Wai): l'inchiesta
volta a rivelare il vero cuore di HK, che coinvolgerà
Cheung e la contrastata passione per un ragazzino inglese,
tanto forte da spingerla al tentato suicidio; l'ambigua
figura di Gong Li, tenutaria di un bar ed ex
"accompagnatrice", infastidita e attratta dall'insistente
corte dell'inglese, tanto da lasciare il marito per
condividere gli ultimi giorni di "vita" di Johnny, malato di
leucemia; l'alternanza tra i movimenti avvolgenti da
videocamera e i colori fotografici tuffati nella ricerca del
passato di Gong Li, passando attraverso il vecchio tentato
suicidio di Maggie, dischiude la vera storia d'amore tra il
regista e la sua natìa HK.
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