8. Castigos
(castighi)
L'atto si apre su un murale su cui campeggia sovrana la morte. Gli eventi precipitano: al porto le ruspe stanno già demolendo il quartiere che incarna maggiormente l'anima popolare anti-autoritaria del melting pot porteño e il maglio sta attaccando le pareti confinanti con la "zona liberata" del teatro. É la resa dei conti: Alfonso il funzionario fintamente di sinistra, un diessino che ridicolmente ripete che gli altri sono hijos de puta, ma lui rimane al loro fianco per conquistare spazi che occuperebbero i menemisti (un ritornello che riecheggia insopportabilmente il fittizio cavillo d'alemiano), ... per fare le stesse cose. La risposta di Max è definitiva, quanto la prassi di Cachito, il quale allaccia clandestinamente le case popolari del territorio, erogando loro l'energia elettrica, fino a scontrarsi con i corrotti poliziotti; Enrique scivola sempre più nel terreno della morte: in uno scantinato ricolmo di oggetti incontra la moglie morta che suona al piano, defilata figura eppure pregnante, poco incisiva (come d'altronde deve essere una morta), ma fondamentale nell'evoluzione del personaggio Enrique: parlano di defunti, ormai è attirato e addirittura palesa un confronto con Belgrano, trapassato in miseria, lanciandosi in un'invettiva sull'ingratitudine argentina. Il suo è un altro modo, illanguidito, di "ser cansado de retroceder siempre": non significa darsi per vinto. Infatti lui stesso investe i militari che bloccano il passo in Plaza del Congreso, apostrofandoli con quella frase che allude a quella prostrazione estenuata. Gli mancano però le illusioni, sostuite dal passato, da tutti quegli oggetti che la sua immaginazione gli fa ritrovare nel bric à brac dello scantinato.... |
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