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Pleasantville Anno: 1998 Regista: Gary Ross; Autore Recensione: Federica Arnolfo Provenienza: USA; Data inserimento nel database: 19-04-1999
Untitled Document
Pleasantville
Di Gary Ross
Con Tobey Maguire (David/Bud), Reese Witherspoon (Jennifer/Mary Sue), J.T. Walsh
(Big Bob), William H. Macy (George), Joan Allen (Betty), Jeff Daniels (Mr. Johnson)
Ognuno di noi ha un proprio personalissimo bagaglio di immagini che, prese
tutte assieme, stanno a rappresentare la Storia del Cinema. Nel mio trovano
posto, tra le altre, l'immagine dell'osso lanciato da Moonwatcher che si trasforma
in astronave in "2001: Odiessea nello spazio", la villa che esplode
in "Zabriskie Point", la terra che si spacca in "Underground",
la trapezista che acquista colore agli occhi di Damiel in "Il cielo sopra
Berlino". Nell'immaginario di Peter Handke e di Wim Wenders l'angelo infatti
vede in bianco e nero: ovvia metafora del mondo diviso chiaramente in bene e
male, ma nello stesso tempo di una visione piatta dell'esistenza non legata
al divenire, ma all'eternità che si riproduce sempre uguale. E quando
il colore appare, è perché nell'angelo ha cominciato a formarsi
un sentire umano, troppo umano...
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I personaggi che animano "Pleasantville", zuccheroso serial tv rigorosamente
in bianco e nero ambientato in un periodo che va indicativamente dalla fine
degli anni '50 all'inizio degli anni '60 (una versione edulcorata del popolarissimo
"Happy Days"), sono come gli angeli di Hanke e Wenders. Per loro il
mondo non va oltre i confini della loro "città piacevole",
le stagioni non esistono, il sesso non esiste, le passioni non esistono, i mariti
tornano a casa tutti i giorni alla stessa ora e trovano mogli sorridenti ad
aspettarli con la cena pronta in tavola, le ragazze sono tutte belle e pudiche,
i palloni vanno tutti a canestro, i pompieri non hanno incendi da spegnere,
le pagine dei libri sono bianche, le strade descrivono dei cerchi. A differenza
dagli angeli di Handke e Wenders, però, gli abitanti di Pleasantville
non hanno idea di cosa possa esserci al di fuori delle loro anguste vedute del
mondo e dell'esistenza. Finché nel loro mondo non irrompono, rovesciando
il paradosso del "Truman Show", due adolescenti dei giorni nostri,
David e Jennifer, catapultati nel serial da uno stranissimo telecomando.
Grazie ai due ragazzi Pleasantiville comincerà a conoscerere il sesso,
le stagioni, le passioni... e ad acquistare colore. Ma, come in ogni società
che si rispetti, non tutti vedono il cambiamento di buon occhio, e i "colored"
(inquietantemente resi in italiano come "quelli di colore") diventereranno
presto il bersaglio dei conservatori rimasti in bianco e nero, subendo attacchi
di vario tipo, che culmineranno nella distruzione del locale dove lavora David,
il cui proprietario (nota curiosa: si tratta di Jeff Daniels, l'attore che in
"La rosa purpurea del Cairo" scendeva dallo schermo del cinema per
entrare nella vita reale) scopertosi appassionato di pittura aveva dipinto tutte
le vetrate, nel rogo dei libri finalmente riempitisi di parole (e di storie),
e nella stesura di un decalogo che impone, tra le altre cose, l'insegnamento
della storia secondo l'ottica del "non divenire". Ma il cambiamento,
una volta iniziato, non si può più fermare.
"Pleasantville" si rivela dunque un film intelligente e ben più
profondo di quanto ad una prima visione potrebbe far sembrare. Il valore della
"alterità" e della "differenza", del saper guardare
al di là dei propri ristretti orizzonti sembrerebbe essere il suo cavallo
di battaglia, che cavalca sull'onda del buonumore e del divertimento mai scontati,
e gli si riesce a perdonare il forse troppo scontato riferimento al "boom"
che effetivamente investì la società di quegli anni e il non riuscire
a reggere per tutte e due le ore che dura gli alti livelli dell'inizio. Forse
perché in questo scorcio di fine millennio dove i migliori registi della
storia del cinema sembrano abbandonarci ad uno ad uno lasciandoci con ben poche
certezze, si ha sempre più fame e più bisogno di film intelligenti.
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